“Stranded”: la tratta nigeriana a scopo di sfruttamento sessuale. Evoluzione, risposte e sfide

di Giorgia Galli

Stranded”, che precisamente si traduce “incagliato”, è il titolo del seminario organizzato dalla ong CISS – Cooperazione Internazionale Sud Sud per analizzare il fenomeno della tratta; in particolare i trend che negli ultimi anni hanno modificato il modus operandi delle reti criminali che sfruttano – soprattutto – donne e minori in Nigeria, Libia e Italia.

La tratta di esseri umani è un crimine, tra i più gravi e diffusi della nostra epoca. In un mondo che si dichiara anti-schiavista, la tratta rappresenta a tutti gli effetti una moderna forma di schiavitù, che fa vittime uomini e donne, adulti e minori. Le vittime di tratta sono “incagliate” nelle reti dei trafficanti, subendo violenze di ogni genere e diventando vera e propria merce.

L’incontro, svoltosi presso La Casa della Cooperazione lunedì 1 ottobre, ha visto la partecipazione di operatori del terzo settore, associazioni, volontari e studenti che hanno approfondito questa complessa tematica grazie al contributo di relatori esperti.

A dare il via alla giornata è stato l’intervento introduttivo del presidente del CISS Sergio Cipolla che ha raccontato della consolidata esperienza dell’organizzazione in materia di tratta, spiegando il perché a Palermo sia necessario parlarne.

Nel capoluogo siciliano, infatti, a cavallo dell’inverno 2011-2012 furono brutalmente uccise due ragazze nigeriane vittime della tratta, Favour Nike Adekunle e Loveth Edward. Pochi mesi dopo, nacque il Coordinamento Antitratta Favour and Loveth, che tutt’oggi riunisce associazioni, enti laici e non allo scopo di contrastare il fenomeno, sensibilizzare la cittadinanza e fornire mezzi di prevenzione e supporto alle vittime. Un elemento importante emerso da questo primo intervento riguarda i numeri degli sbarchi in drastico calo nell’ultimo biennio: 90,62% rispetto al 2016 e 87,33% rispetto al 2017. A causa di questa netta riduzione, i trafficanti sono stati costretti a trovare nuovi mezzi e nuove rotte per fare arrivare in Europa le donne e le ragazze nigeriane; per questo motivo è necessaria un’azione congiunta di contrasto che si muova al passo delle reti criminali.

A seguire la relazione di Fabrizio Sarrica, Phd. Ricercatore dell’Ufficio delle Nazioni Unite sulla Droga e il Crimine (UNODC) ed autore del Global Report on Trafficking in Persons, che ha analizzato la fenomenologia della tratta, sottolineandone la complessità e capillarità, nelle sue componenti criminologiche e sociologiche. Dal Global Report del 2016 è emerso che più del 70% delle vittime di tratta sono donne (adulte e minorenni) e che la percentuale di minorenni vittime di sfruttamento sessuale è aumentata nell’ultimo decennio. La tratta tuttavia non avviene solo a scopo di sfruttamento sessuale e/o lavorativo ma anche per il reclutamento di bambini soldato, per contrarre matrimoni forzati e per la vendita di organi.  Un dato significativo riguarda la diffusione delle varie forme di sfruttamento nelle diverse aree geografiche: ad esempio in Medio ed Estremo Oriente la percentuale più alta di vittime della tratta è costretta a matrimoni forzati, mentre lo sfruttamento di donne, in maggioranza, e uomini in Europa avviene a scopi sessuali. Nel suo intervento Sarrica ha delineato il profilo dei trafficanti, sottolineandone, in particolare, due caratteri: il legame di fiducia che si instaura con la vittima e una conoscenza e/o controllo del territorio, che talvolta si manifesta in legami con la criminalità organizzata. Ad esempio il 37% delle persone condannate per traffico di esseri umani sono donne, la cui funzione è quella di adescare le vittime già nel paese d’origine e mantenere su di loro una posizione di controllo.

La peculiarità che contraddistingue il fenomeno della tratta, come descritto dal ricercatore dell’UNODC, è la sua adattabilità alle condizioni economiche, sociali e culturali del contesto in cui si esplica e quindi la sua complessità, che rende spesso non tracciabili i percorsi dei trafficanti e la loro identità. Quest’ultimo aspetto è stato anche uno dei motori dell’intervento di Rafaela Hilario Pascoal, Phd. Ricercatrice e autrice del rapporto di ricerca “Stranded” realizzato dal CISS nell’ambito del progetto BINIs – Best Practices in tackling trafficking Nigerian Route.

La ricerca condotta dalla Dott.ssa Pascoal, che copre il biennio 2015-2017, ha come oggetto l’evoluzione del fenomeno della tratta delle donne nigeriane, studiata in tutte le sue fasi: reclutamento, viaggio e sfruttamento. Dalla ricerca è emerso che, rispetto al passato, oggi lo sfruttamento avviene dalla fase di reclutamento nel paese d’origine all’arrivo al paese di destinazione. A causa dell’instabilità politica che caratterizza il panorama libico dal 2011, si è aperto un nuovo canale di transito verso l’Europa, nel quale confluiscono un sempre maggior numero di migranti giunti da diverse regioni africane, soprattutto dell’area subsahariana. A ragione di ciò si registra in Libia un aumento dei “passeurs”, che spesso offrono viaggi gratuiti alle giovani donne per poi trarre profitto dalla loro vendita. Un ulteriore dato preoccupante riguarda il fatto che oggi le donne nigeriane pagano i costi del viaggio verso l’Europa tramite lo sfruttamento violento che sono costrette a subire già nelle Connection House libiche. Infatti, ne sono testimonianza i segni di torture che mostrano i loro corpi (bruciature di sigarette o cicatrici da accoltellamento) al momento dello sbarco in Italia.

I dati dell’OIM rivelano che nel 2016 l’80% (8,807) delle donne nigeriane arrivate in Europa erano destinate allo sfruttamento sessuale, di queste però solo 6,599 sono state identificate come vittime di tratta. Purtroppo soltanto 290 hanno iniziato il percorso di protezione (giudiziaria o sociale) previsto dall’articolo 18 del T.U. Immigrazione.

Un dato allarmante, come evidenziato dalla dott.ssa Pascoal, riguarda proprio i numeri delle donne che iniziano il percorso ex art. 18, che ad oggi sembrerebbe in parte non adeguato a recenti fenomeni che riguardano lo sfruttamento: il suo verificarsi prima dell’arrivo in Italia e durante la permanenza nei centri d’accoglienza nell’attesa della valutazione della richiesta d’asilo. Per tutti questi motivi è necessario creare un sistema di monitoraggio volto ad identificare le vittime di tratta e quelle potenziali oltre che determinare statisticamente il numero di coloro che hanno iniziato il percorso ex art.18 e quante l’hanno terminato. Per quanto riguarda il percorso assistenziale e di integrazione, la dott.ssa Pascoal ha auspicato la creazione di CAS per soggetti vulnerabili, dove le vittime di tratta siano seguite da personale esperto, sul modello di Parma (di cui si parlerà in seguito).

I soggetti vulnerabili, vittime di violenza, sono stati anche al centro della riflessione della quarta relatrice, la Prof.ssa Ignazia Bartholini, Ricercatrice Senior e coordinatrice del progetto PROVIDE dell’Università di Palermo. Il progetto ha definito nuovi modelli di intervento contro la cosiddetta violenza di prossimità, che caratterizza le relazioni tra individui, dove l’uno si pone in una posizione oppressiva di violenza ripetuta e l’altro ne è vittima. Alla luce di questa definizione, la studiosa ha fornito un’interpretazione alternativa del rapporto e delle radici alla base della violenza compiuta dal trafficante e dallo sfruttatore nei confronti delle vittime. Secondo tale interpretazione, le donne oggetto di tratta diventano vittime inconsapevoli di un’empatia negativa, che si manifesta nell’accettazione di ricatti e soprusi anche all’interno delle strutture di accoglienza. Per tale motivo, due degli obiettivi del progetto sono: “sviluppare un protocollo sulle metodologie formative rivolto a professionisti e operatori e contrastare ogni forma di violenza contro le persone rifugiate e richiedenti asilo, rafforzando e mettendo in rete le competenze e professionalità specifiche”.

Il filo rosso che lega questi ultimi interventi è difatti la necessità di mettere al centro la formazione di equipe specializzate ad accompagnare le vittime di tratta in un percorso assistenziale e sociale.

Questa è stata la ragione del successo del progetto realizzato dal Comune di Parma “Oltre la strada” e del protocollo d’intesa – firmato nel 2016 dalle istituzioni e enti del terzo settore – illustrato dalla successiva relatrice, la Dott.ssa Silvia Chiapponi. La peculiarità dell’esperienza di Parma, come ha spiegato la stessa, sta nell’aver trovato un punto di raccordo tra il sistema asilo e il sistema tratta che tiene conto della presenza di vittime di tratta tra i richiedenti asilo. Il sistema di accoglienza perfezionato sul territorio parmense ha visto la realizzazione di un’azione coordinata tra il Comune, gli sportelli territoriali, i CAS e la Prefettura, finalizzata all’emersione di potenziali vittime di tratta e grave sfruttamento tra i richiedenti asilo. La forza di questo progetto deriva dall’aver ideato un sistema di tutela e assistenza che segue le vittime a 360° in tutti gli aspetti della loro vita (tutela legale, percorso formativo, inserimento lavorativo personalizzato e assistenza sanitaria e psicologica). Al centro di questo cambiamento vi è la volontà di rivalutare i progetti ex art. 18 e coordinare i meccanismi di tutela, per evitare lacune e zone d’ombra che minerebbero ulteriormente la condizione di fragilità delle vittime di tratta.

Le battute conclusive dell’incontro sono state affidate all’Avv. Giorgio Bisagna – esperto in diritto dell’immigrazione e presidente dell’associazione ADDUMA – Avvocati dei Diritti Umani che ha commentato i punti salienti del nuovo Decreto in materia di Immigrazione e Sicurezza (entrato in vigore il 5 ottobre). Nello specifico, le modifiche al T.U. Immigrazione incidono drasticamente sul rilascio del permesso di soggiorno “per motivi umanitari”, dicitura che viene del tutto eliminata e sostituita dalla locuzione “per casi speciali”. Agli occhi dell’avvocato Bisagna, questa modifica aggrava lo status dei soggetti più vulnerabili, tra cui le vittime di tratta, che, venendo etichettati come “casi speciali”, perdono il diritto a non voler raccontare i loro vissuti drammatici.

Alla luce di queste considerazioni finali, si comprende appieno che lo scopo di questa giornata non è stato solo aggiornare sui recenti sviluppi del fenomeno ma anche sottolineare la necessità di formare gli operatori del settore dell’accoglienza, coordinare le diverse istituzioni preposte e rivedere i percorsi di tutela al fine di permettere alle vittime di tratta di “disincagliarsi” dalla rete dei trafficanti.

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